Inghilterra 1996
Ancora una volta anticipando i mondiali, che dal 1998 avranno una fase finale a 32 squadre, la UEFA decide di aumentare il numero di nazionali destinate a giocarsi il titolo all’ultimo atto, portandole da 8 a 16. Un piccolo campionato del mondo insomma, visto e considerato anche che ormai, a parte le big del Sudamerica, è l’Europa a tenere banco nelle varie manifestazioni iridate.
A far da padrona di casa per questa prima edizione “Large” è l’Inghilterra, e lo slogan del torneo, “Football is coming home”, chiarisce subito quale sia l’intenzione degli inventori del calcio moderno. Riportare a casa il football, ma soprattutto portare a casa il trofeo, come già successo con la Coppa Rimet 30 anni prima, nella tanto discussa finale di Wembley contro la Germania Ovest.
Prima di scendere in campo, però, devono aspettare le quindici avversarie destinate a uscire da una fase di qualificazione che nel frattempo si è arricchita di numerose nuove nazionali, nate dal dissolvimento del blocco sovietico e della Jugoslavia. E alcune di loro si fanno subito onore. La Russia, per cominciare, che chiude imbattuta un girone comunque semplice, precedendo la Scozia, anch’essa promossa, e la Grecia. Poi la Repubblica Ceca, che pur staccatasi dalla Slovacchia vive una rinascita inattesa, nelle proporzioni, grazie a una nidiata di campioni che poi faranno fortuna in giro per il continente. I cechi precedono addirittura l’Olanda, costringendola allo spareggio poi vinto contro l’Irlanda, ed eliminano la Norvegia. Irlanda che aveva dovuto cedere il passo al Portogallo, tornato in una fase finale di un grande torneo dieci anni dopo l’ultima volta, guidato da una generazione di talenti capace di vincere tutto a livello giovanile. Altre qualificate sono Romania e Francia, coi galletti vogliosi di rivincita dopo aver saltato il mondiale del 1994, Spagna e Danimarca, decisa a difendere il titolo fino in fondo, la favorita Germania e le esordienti Bulgaria, Svizzera e Turchia, coi primi che dopo il quarto posto mondiale hanno fatto sudare ai tedeschi la vittoria del girone eliminatorio.
Girone eliminatorio che fa spremere molto sudore anche all’Italia di Sacchi, obbligatoriamente inserita tra le favorite dopo aver perso la Coppa del Mondo solo ai rigori contro il Brasile. Gli azzurri sono chiamati a tenere a battesimo quasi tutte le novità in arrivo dall’est Europa, dalle ex sovietiche Ucraina, Lituania ed Estonia, alle ex jugoslave Croazia e Slovenia. E l’inizio non è certo semplice, perché proprio in Slovenia solo una rete di Costacurta evita la sconfitta, che invece arriva al terzo turno addirittura in casa, contro la scatenata Croazia guidata dal suo bomber Davor Šuker. C’è da rimboccarsi le maniche, ma per fortuna le altre squadre sono abbordabili e anche la Slovenia, che tanto aveva impensierito all’inizio, finisce per restare attardata e viene battuta al ritorno dalla rete di Ravanelli. Il pareggio a Spalato permette di chiudere appaiati ai croati, ma secondi per gli scontri diretti. La manovra, dopo un avvio faticoso, è andata via via migliorando, nonostante i continui esperimenti di Sacchi, che in due anni ha provato quasi novanta giocatori. C’è fiducia insomma.
Il sorteggio non è favorevole, perché oltre alla Germania regala due formazioni emergenti come Repubblica Ceca e Russia, espressioni di scuole che in passato hanno già vinto il torneo. Sacchi rinuncia ai “senatori” Vialli (fresco campione d’Europa con la Juventus), Baggio e Signori, puntando su Zola e Casiraghi in avanti, con Ravanelli, Del Piero e Chiesa alternative. Le polemiche per le assenze illustri vanno subito in archivio dopo la bella vittoria contro la Russia a Liverpool, firmata proprio da Casiraghi con una doppietta e da Zola come assist man. Mentre i tedeschi battono sia i cechi che i russi, agli azzurri non resta che vincere contro i primi per assicurarsi i quarti di finale. A questo punto, però, Sacchi decide di effettuare un inedito turnover, solitamente riservato a dopo la qualificazione, forse sottovalutando i cechi, o forse avendo piena fiducia nelle cosiddette seconde linee. Fuori in cinque, compresa la coppia d’attacco, e dentro uno spento Ravanelli, insieme a Chiesa, che rimedia velocemente all’iniziale svantaggio firmato da Nedvěd. Il peggio deve ancora arrivare, perché Apolloni si fa espellere e Bejbl punisce la lentezza con la quale Sacchi rafforza la difesa. La ripresa, complice l’inserimento dei titolari, è un assalto sterile che non cambia il risultato e rimanda tutto al match con la Germania. I tedeschi, al quale basta il pareggio, si limitano a controllare gli attacchi generosi dell’Italia, che disputa una buona partita, ma non riesce a concretizzare. Nemmeno su calcio di rigore, visto che Zola se lo fa parare da Köpke. A cinque minuti dal termine, sull’altro campo, la Russia passa in vantaggio regalandoci la speranza. Dura solo tre minuti, fino al definitivo tre a tre di Šmicer che promuove i cechi. A casa, dunque, nonostante a sprazzi si sia giocato il calcio migliore del torneo. Una delusione che fa esplodere le polemiche per la gestione scellerata di Sacchi, nonostante tutto confermato in panchina.
Dagli altri gironi non arrivano sorprese, con l’Inghilterra che parte a rilento ma poi entusiasma il pubblico con un poker di gol all’Olanda, comunque seconda. Bene anche la Francia, che precede una Spagna poco brillante, e il Portogallo, che chiude in crescendo travolgendo la Croazia, battuta e contenta come l’Olanda, vista la qualificazione ottenuta già con le prime due vittorie.
La fase a eliminazione diretta vede il debutto del golden gol, in pratica chi segna per primo ai supplementari porta a casa immediatamente la partita. Dovrebbe favorire lo spettacolo, finisce per penalizzarlo ulteriormente, tanto che solo due partite, fino alla finale, si concluderanno senza calci di rigore. La prima è quella della Germania, che batte la Croazia con la rete decisiva di Sammer, impegnato a mettere tasselli importanti verso l’inatteso Pallone d’Oro conquistato a dicembre. L’altra è quella della Repubblica Ceca, che continua a sorprendere eliminando il favorito Portogallo con una gemma autentica del suo giocatore più talentuoso, Karel Poborský. Hanno bisogno dei tiri dal dischetto, invece, Inghilterra e Francia. I padroni di casa ringraziano prima l’arbitro, che annulla alla Spagna due gol parsi regolari, e poi il loro portiere, David Seaman, che stoppa le conclusioni di Hierro e Nadal dal dischetto. Francia e Olanda danno vita a una partita soporifera, ovviamente decisa dagli undici metri e dall’errore fatale di Seedorf, unico a non trasformare il suo tiro.
Non cambia il copione delle semifinali, con partite noiose che certo non fanno contenti gli spettatori neutrali. La Francia se la vede con l’outsider Repubblica Ceca, ma ancora una volta i transalpini si fermano sul più bello. La serie dei rigori è tiratissima, con nessun errore nei primi dieci tiri, fino a quello, fatale, di Pedros che manda in paradiso i cechi. Poche ore dopo, a Wembley, va in scena la madre di tutte le partite, tra Inghilterra e Germania. I tedeschi sono parsi i più solidi, nel corso del torneo, ma l’Inghilterra ha la spinta del pubblico e da vendicare la sconfitta ai rigori nella semifinale mondiale di sei anni prima. Le emozioni dei centoventi minuti di gioco sono riservate al primo quarto d’ora, con Shearer che porta avanti i suoi, prima del pareggio del carneade Kuntz, ripescato da Vogts in Turchia e in campo per l’assenza di Klinsmann. Ancora rigori, e ancora a oltranza dopo che i primi dieci tentativi sono andati tutti a segno. Il peso della delusione, stavolta, cade tutto sulle spalle di Gareth Southgate, che regala un’altra notte da eroe a Köpke, facendosi parare il tiro, prima che Andy Möller trasformi il suo e mandi la Germania in finale per la quinta volta nella sua storia, tra le lacrime di Wembley.
In finale si ritrovano due squadre che hanno regalato davvero poco, in fatto di spettacolo, e che sono reduci dal girone dell’Italia, tanto per aumentare i rimpianti azzurri. I tedeschi avevano rinunciato in partenza al leader Matthäus, affidandosi ad alcune novità, come Ziege e Mehmet Scholl, attorniati però da una squadra esperta e in là con gli anni. I cechi, dal canto loro, erano arrivati in fondo entusiasmando solo per un tempo con l’Italia, per poi andare avanti grazie a una difesa solida e al loro rapido contropiede. Un loro eventuale successo sarebbe stato quasi paragonabile a quello danese di quattro anni prima, quanto a imprevedibilità.
La gara, come facilmente immaginabile, scorre via pigramente e senza offrire spunti di rilievo fino al quarto d’ora della ripresa, quando l’arbitro Pairetto fischia un calcio di rigore a favore dei cechi. Patrick Berger trasforma e la grande sorpresa sembra possibile. Almeno fin quando Vogts non decide di mandare in campo Oliver Bierhoff, fin qui schierato col contagocce. All’ariete dell’Udinese bastano meno di cinque minuti per raddrizzare le sorti del match, quando manca un quarto d’ora al termine. Parità ristabilita e supplementari come ovvia soluzione, ma stavolta il destino ha in serbo un esito diverso dei calci di rigore, che sarebbero stati una riedizione della finale del 1976, col beffardo cucchiaio di Panenka a popolare di incubi le notti tedesche. Ci pensa ancora Bierhoff a siglare il primo golden gol della storia e a salire di diritto sul trono di eroe del torneo. Riceve palla da sinistra, controlla e si gira facendo partire una conclusione di sinistro non irresistibile e che però, complice una deviazione, finisce per beffare il portiere Kouba, capace solo di smanacciare. Il pallone si infila nell’angolino e contemporaneamente esplode la gioia dei tedeschi, campioni d’Europa per la terza volta, un record che li conferma come la squadra storicamente più solida del continente, dall’alto delle sette finali tra mondiali ed europei disputate negli ultimi 30 anni.