L'Europeo della lotta di classe
Si scrive Euro 2016, si legge torneo senza padroni. Dopo la fase a gironi della rassegna continentale in terra di Francia una cosa l'abbiamo capita: è in atto una democratizzazione che rende la competizione per la conquista al trono del calcio del vecchio continente paritaria come forse mai prima d'ora nella Storia.
Sarà l'apertura del recinto a 24 squadre, saranno gli ottavi di finale 'allargati,' sia qual che sia, ma quel che rimane alla vigilia dell'apertura degli 'elimination match' è la divisione manichea dei tabelloni: da una parte l'Ancien Régime, la nobiltà storica del calcio, dall'altra la nuovelle vague, gli scalatori sociali che proveranno ad approfittare delle congiunture astrali di un regolamento claudicante per sceneggiare il colpo di stato nel teatro di Saint Denis il prossimo 10 luglio.
Ma torniamo al principio, ovvero al livellamento che questo Europeo ci propina, senza se né ma: prendiamo, ad esempio, l'ex Invincibile Armata spagnola bi-campione d'Europa, gabbata dalla Croazia per troppa supponenza. Oppure la fu corazzata tedesca, campione del mondo appena due anni fa e costretta ad accettare di buon grado un pareggio a reti bianche con la Polonia; e poi, come dimenticare l'autoproclamatasi squadra campione alla vigilia, quella Nazionale inglese che vive delle solite contraddizioni storiche e tattiche che le impediscono di liberare tutto il suo potenziale. E a proposito di padroni arriviamo alla Francia, finora solo proprietaria dell'organizzazione del torneo: due vittorie e un pari non dicono la verità sulle difficoltà finora incontrate dalla candidata numero uno al titolo, prigioniera dei protagonismi dei suoi astri e vincolata alle giocate dei suoi uomini del destino. Capitolo a parte lo merita la nostra Nazionale, tanto povera di talenti purissimi quanto sventurata nel Fato che le mette di fronte la sua bestia nera per eccellenza.
L'altra faccia della luna – si diceva – vede battagliare le Selezioni con un passato meno glorioso, ma con un avvenire vicino e lontano certamente fulgido: a guidare l'esercito delle nuove leve c'è la Croazia, già killer delle leggende spagnole, che per poter ambire alla gloria deve prima estromettere il Portogallo di Cristiano Ronaldo, unico residuato di squadra blasonata (non ce ne voglia l'Ungheria ma l'orologio è fermo al terzo posto europeo nel '64) che non combatte con i suoi pari in questa tremenda lotta di classe. Un gradino più sotto, se non altro per il passo falso fatto con l'Italia all'esordio, ecco il Belgio di Kevin De Bruyne, che si contende il ruolo di underdog di lusso assieme al Galles di Gareth Bale, l'unico vero giocatore onnipotente (Iniesta è fuori categoria) di questa prima serie di match. Infine ci sarebbe la Polonia di Lewandowski, se solo quest'ultimo si degnasse di cominciare a diventare determinante con i suoi gol nella fase finale così come nelle qualificazioni, magari a partire dalla sfida alla Svizzera, puntuale solo nel salutare i tornei internazionali prima che questi entrino nel vivo.
Dimenticato qualcuno? Ebbene sì, ma in maniera scientifica. Oltre a aristocrazia e all'alta borghesia, infatti, c'è sempre la working class, incarnata dai volti di quei giocatori-operai islandesi che festeggiano le loro prime volte assieme alla loro gente, un popolo riunito sotto un'unica bandiera in un solo luogo, uno stadio.
E' il calcio, signori: e ora seduti comodi, comincia lo spettacolo. Anzi, fatevi più in là, con voi si siederà virtualmente anche Zlatan Ibrahimovic, il guerriero che sarà costretto a vedere la battaglia in tv, come un comune mortale. Lui che ha conquistato la Svezia, lui che è la Svezia. Lui, il re nudo dinnanzi all'Europeo della lotta di classe.