Portogallo, ben ti sta! E stasera tocca a noi
Hai voglia a dire che i luoghi comuni sul calcio sono, appunto, stereotipi e in quanto tali hanno un valore relativo. Il Portogallo ieri ha buttato via un’occasione clamorosa per scrivere la propria storia, e non solo la sua, andando a cozzare sui suoi storici limiti. Esattamente come senti dire al bar, a ogni Mondiale o a ogni Europeo, il Portogallo si è confermato una buona squadra, con dei fini palleggiatori in fase di costruzione, ma totalmente incapace di inquadrare la porta.
Non è stata solo colpa di Hugo Almeida, che peraltro ha sfiorato il gol più che altro con improbabili soluzioni dall’distanza, lui che è forse l’unico portoghese alto 1.90 (benedetti ragazzi, ma un cross giusto per la sua testa – uno - pareva brutto?); le responsabilità vanno divise in una gestione della fase d’attacco che paga un reparto di talento, ma male assortito. Hai il centravanti alto, discreto di piede ma forte di testa, e non lo servi mai coi palloni alti; hai l’ala destra, che sarà pure del Manchester United ma non molla il pallone se prima non ne ha saltati almeno due; hai a sinistra il più forte giocatore d’Europa, ma soverchiato dal suo stesso ego.
Onestamente faccio fatica a valutare l’Europeo di Cristiano Ronaldo. Ectoplasmatico nelle prime due partite, leader e trascinatore contro Olanda e Repubblica Ceca, troppo concentrato a costruirsi il suo personale piedistallo nella semifinale di Donetsk. Non mi hanno stupito gli errori in serie su punizione: chi ha visto il Real Madrid in questo campionato ha notato come CR7 abbia dovuto aspettare primavera per fare il primo centro da calcio piazzato, nonostante i tiri dai 20 metri in poi fossero rigorosamente suoi, anche sull’8-0 contro l’Osasuna. Mi ha sorpreso molto, invece, perché non da lui, l’errore sul contropiede 4 vs 3 al 90’: non è esagerato dire che Ronaldo si sia giocato il Pallone d’oro proprio su quelo sciatto diagonale.
C’è poi la gestione della serie dei tiri di rigore, che dice molto sul personaggio-CR7 più di qualsiasi altro atteggiamento. E’ risaputo che i migliori rigoristi di una squadra vanno piazzati per primo, o per quarto. Per primo: perché è importante rompere il ghiaccio, spezzare la tensione, andare sul sicuro. Per quarto: perché è al quarto giro che solitamente si decide la serie, o si pongono le basi per chiuderla. CR7 ha voluto tenere per sé il quinto rigore, perché sperava in cuor suo di firmare di proprio pugno il foglio di fine corsa (fine ciclo?) della Spagna. Invece, come qualcuno sagacemente punzecchia sul web, probabilmente è ancora alla Dornbass Arena ad aspettare di calciare il suo rigore.
Si scherza ovviamente, sul filo dell’ironia. In realtà credo che in Portogallo siano verdi di rabbia, e con tutte le ragioni del mondo. La Spagna di ieri sera era una Spagna stanca, svogliata, prevedibile, in una parola: battibile. Il tikitaka visto contro la squadra di Paulo Bento è apparsa la copia sbiadita del gioco che ha ammaliato e dominato il calcio mondiale degli ultimi quattro anni. Le occasioni più nitide le ha avute comunque la Roja (strepitosa la parata di Rui Patricio su Iniesta nella ripresa), ma ciò non toglie che il Portogallo, se fosse venuto meno ai suoi luoghi comuni, avrebbe avuto opportunità in abbondanza per regalarsi una serata memorabile.
A questo punto, speriamo che i luoghi comuni valgano anche questa sera. Sarebbe bellissimo ritrovarci domenica con gli spagnoli, tre settimane dopo Danzica. Speriamo bene.