I polacchi non morirono subito
Avessimo perso noi come ha fatto la Polonia, di gente per le strade in stato di ubriachezza molesta non ne avremmo vista molta. Per festeggiare bisogna vincere, andare oltre ogni turno, altrimenti non sussisterebbero motivi per alzare calici e boccali. Noi siamo l'Italia quattro volte campione del mondo, sebbene agli Europei ci abbia detto meno bene in termini di trionfi e con un pizzico di fortuna nell'unico successo (la famosa monetina di Facchetti del '68). Organizzare l'evento calcistico dell'anno non è ragione sufficiente di soddisfazione, se non le batti tutte. Noi siamo quelli esaltati per l'1-1 con la Spagna e ridotti all'impotenza dal medesimo pari con la Croazia, appesi al discorso "biscotto" invece che alle migliorie da apportare per superare la derelitta Irlanda. La Polonia ha una storia diversa, di sofferenza. Ha tre elementi di spicco, bi-campioni di Germania con il Borussia Dortmund (Lewandowski, Blaszczykowski e Piszczek) e una serie di mastini imponenti dal tocco poco vellutato. Sono usciti di scena in un girone mediocre, nel quale i favoriti russi hanno abbandonato la competizione nel modo peggiore, rinverdendo i fasti del Kafelnikov tennista, uno che poteva vincere il Roland Garros e poi perdere al primo turno dal peggior brocco del circuito. Sono passati i cechi, tritati dagli ex sovietici all'esordio, e i volenterosi greci dell'ex interista Karagounis. La Polonia è già fuori, nell'Europeo che ha organizzato e senza aver vinto una partita. Eppure a Cracovia cantano tutti come pazzi, indossano bandiere enormi, si piazzano ai piedi dei monumenti per festeggiare il fatto che sono vivi, sono nel mondo che conta, quello in cui si gioca ai massimi livelli. Hanno perso, ma non se n'è accorto nessuno. Più semplicemente, ognuno vive la sconfitta come meglio gli pare. Evidentemente gli irlandesi, le cui urla si odono nitide anche sul 4-0 per la Spagna, fanno scuola più di noi.